giovedì 15 maggio 2014

La storia della ditta FRANCA EFFE

La Bambole Franca dal 1956 al 1986 ha prodotto una media di 25mila pezzi al giorno, dando lavoro a quasi 400 persone, oltre mille contando l’indotto. «Avevamo una trentina di laboratori artigianali esterni — dice Franca Cascadan (a destra nella foto di Michela Gobbi) con orgoglio — cui fornivamo macchinari e materiali. Così non perdevamo l’esperienza e la manualità di operaie che decidevano di lasciare l’azienda dopo la nascita del secondo o terzo figlio». Poi arrivò la Cina e fu la fine. Racconta Franco, che in azienda si occupava della parte commerciale: «La paga lorda di un operaio era di 40mila lire all’ora, poco più di venti euro. E l’incidenza dell’operaio sulla lavorazione del prodotto-bambola era del 33 per cento. In Cina con 40 mila lire pagavano uno stipendio mensile, quindi i loro prodotti erano fuori mercato. In quel momento di crisi, i sindacati, che a distanza di anni ci chiesero scusa, ebbero un atteggiamento di fermezza. Gli industriali non compresero il reale pericolo della Cina e le banche non ci aiutarono. Assieme a noi in quegli anni chiusero, una dopo l’altra, tante grandi aziende di giocattoli». Oggi i due fratelli danno una mano ai figli, uno dei quali è rimasto nel settore del giocattolo creando la Gexon, azienda di Este che recupera, stocca e rivende le rimanenze di magazzino. «La pensione? Avevamo decine di appartamenti e locali di cui eravamo proprietari tramite una società immobiliare — racconta Franco — e questa doveva essere la nostra rendita vitalizia. Ma col fallimento, ce l’hanno portata via. Il terreno dove sorgevano i capannoni , 50 mila metri quadrati alle porte di Monselice, è stato svenduto a due miliardi (poco meno di un milione di euro.

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